Indonesia, 1965 – Storia di un genocidio liberale

di Dipartimento Esteri FGCI 

La militanza antimperialista dell’Indonesia e la sua sanguinosa trasformazione in uno stato cliente di Washington fanno parte di una storia in buona parte dimenticata.  Ripercorriamola brevemente, attraverso la Conferenza di Bandung, lo sviluppo dell’ideologia a fondamento del governo di Sukarno e il conseguente colpo di stato militare pro-USA, analizzando la ricezione in Occidente degli eventi che caratterizzarono quei violenti anni.  

Nata in risposta all’istituzione della Southeast Asia Treaty Organization (Seato), la quale rischiava di caratterizzarsi come una NATO asiatica con a capo gli Stati Uniti e i suoi paesi satelliti nell’area, la Conferenza di Bandung nel ‘55 rappresentava circa un miliardo e mezzo di persone, al tempo più di metà della popolazione mondiale. Nel suo discorso di apertura, Sukarno, allora Presidente della Repubblica d’Indonesia, dichiarò che era la «prima conferenza intercontinentale di popoli di colore nella storia dell’umanità» 1. Tra i 29 paesi presenti, oltre l’Indonesia di Sukarno, i più influenti erano certamente quelli rappresentati da Nehru, Primo ministro indiano, Nasser, Presidente egiziano, Zhou Enlai, Primo ministro della Repubblica Popolare Cinese. L’impegno anticolonialista della Conferenza, improntato ad una cooperazione economica che garantisse lo sviluppo e la pace, è suggestivamente espresso dal discorso di apertura di Sukarno: 

Oggi siamo qui riuniti grazie ai sacrifici. Ai sacrifici dei nostri padri, delle persone della nostra generazione e dei più giovani. Per me in questa sala non sono presenti solo i leader di Asia e Africa: le sue pareti racchiudono lo spirito, indomito, eterno e invincibile, di chi è venuto prima di noi. La loro lotta e il loro sacrificio hanno aperto la strada a questo incontro tra i più alti rappresentanti delle nazioni sovrane e indipendenti di due dei maggiori continenti del globo […]. Siamo uniti dalla comune avversione nei confronti del colonialismo, qualunque forma esso assuma. Siamo uniti dalla comune avversione al razzismo. E siamo uniti dalla comune determinazione a mantenere e rafforzare la pace nel mondo. Il mio popolo e i popoli di molte nazioni di Asia e Africa conoscono queste cose, perché le abbiamo vissute […]. Sì, alcune parti delle nostre nazioni non sono ancora libere. Questo è il motivo per cui tutti noi sentiamo di non avere già raggiunto la meta. Nessun popolo può sentirsi libero se una parte della sua madrepatria non è libera. Come la pace, la libertà è indivisibile. Non si può essere liberi a metà, così come non si può essere vivi a metà. 

Degno di particolare attenzione è il monito che Sukarno lancia ai paesi in fase di decolonizzazione ma che, come vedremo, si sarebbe in breve tempo fatto epitaffio dell’intera nazione indonesiana. 

E, vi prego, non pensate al colonialismo solo nella classica forma che noi in Indonesia e i nostri fratelli di diverse parti di Africa e Asia conosciamo. Il colonialismo ha anche una veste moderna, quella del controllo economico, del controllo intellettuale, del vero e proprio controllo fisico da parte di una comunità piccola ma straniera all’interno di una nazione. È un nemico abile e determinato e ha molte facce. Non rinuncia al suo bottino facilmente. Ogni volta, ogni volta, e ovunque appaia, il colonialismo è malvagio e deve essere sradicato dal mondo 2

La direzione ideologica della Conferenza, che pose le fondamenta per lo sviluppo del Movimento dei Paesi non Allineati, era in fondamentale contraddizione con gli interessi delle classi reazionarie sia dei paesi imperialisti sia dei paesi colonizzati stessi. Le considerazioni al riguardo di Walter Rodney, seppur pensate per la storia del colonialismo in Africa, sono estendibili per spiegare il fenomeno in questione: «la caratteristica più decisiva del sistema coloniale era la presenza di Africani che servono come agenti economici, politici e culturali dei colonialisti europei. Quegli agenti o “comprador” erano già al servizio degli interessi europei nel periodo precoloniale» 3. Vedremo infatti che, seppur il ruolo dei paesi europei e anglofoni non possa essere sottovalutato, il rovesciamento del governo di Sukarno non avverrà tramite invasione e occupazione militare di forze straniere, come sarà nel caso dell’Iraq, ma per mano delle classi reazionarie all’interno del paese stesso.  

Vicino al governo rivoluzionario di Sukarno c’era il PKI, il Partito Comunista Indonesiano. Tra i partiti comunisti più grandi del mondo, il PKI e le sue organizzazioni si erano resi protagonisti nella costruzione di scuole, librerie, cliniche, cooperative, nella sponsorizzazione di programmi di alfabetizzazione e di sanità pubblica. Per capire la vicinanza politica tra forze nazionaliste e comuniste, che potrebbe sembrare una contraddizione, è utile ricordare le parole pronunciate durante il XIX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica: 

In precedenza, la borghesia, in quanto capi delle nazioni, era per i diritti e l’indipendenza delle nazioni e metteva questo “sopra ogni cosa”. Ora non c’è traccia di questo “principio nazionale”. Ora la borghesia vende i diritti e l’indipendenza delle proprie nazioni per dollari. La bandiera dell’indipendenza nazionale e della sovranità nazionale è stata gettata in mare. Senza dubbio voi, rappresentanti dei partiti comunisti e democratici, dovete alzare questa bandiera e portarla avanti se volete essere patrioti dei vostri paesi, se volete essere le potenze guida delle nazioni. Non c’è nessun altro a sollevarlo 4

Come avremo modo di vedere, ciò comporta la necessità di separare nettamente gli elementi nazionali e nemici dell’imperialismo da quelli invece i cui interessi si appoggiano sulla dominazione economica straniera. Mao, immerso concretamente nella questione della lotta per l’indipendenza nazionale, scriveva che: 

la sostituzione di un certo sviluppo del capitalismo al giogo dell’imperialismo straniero e del feudalesimo interno rappresenta non solo un progresso, ma un processo inevitabile. Ciò è vantaggioso non solo per la borghesia, ma anche per il proletariato e forse in maggior misura che per la borghesia. Oggi in Cina sono l’imperialismo straniero e il feudalesimo interno a essere di troppo e non il capitalismo nazionale; in realtà, da noi il capitalismo è troppo limitato. È strano, ma alcuni portavoce della borghesia cinese non hanno il coraggio di sostenere apertamente lo sviluppo del capitalismo 5

A questo è necessario aggiungere che il paese, diviso tra le contraddizioni di classe che un’alleanza di questo tipo inevitabilmente porta, può ottenere e mantenere l’indipendenza politica ed economica solo a patto che a dirigere lo stato siano i lavoratori e contadini. Nella misura in cui la classe operaia e gli elementi più coscienti della popolazione non hanno egemonia nel paese, si rischia come vedremo il triste fato del Partito Comunista Indonesiano. Preziosa a riguardo è anche la riflessione di Gramsci, riferita alla NEP sovietica, sul fenomeno dell’espropriazione politica da parte del proletariato, che però mantiene elementi di economia capitalista per sviluppare le forze produttive. 

Compagni, non si è mai visto nella storia che una classe dominante, nel suo complesso, stesse in condizioni di vita inferiori a determinati elementi o strati della classe dominata e soggetta. […] in questa contraddizione risiedono i maggiori pericoli per la dittatura del proletariato […] il proletariato non può diventare classe dominante se non supera col sacrifizio degli interessi corporativi questa contraddizione, non può mantenere la sua egemonia e la sua dittatura se anche divenuto dominante non sacrifica questi interessi immediati per gli interessi generali e permanenti della classe […] Solo una ferma unità e una ferma disciplina nel Partito che governa lo Stato operaio può assicurare l’egemonia proletaria in regime di Nep, cioè nel pieno sviluppo della contraddizione cui abbiamo accennato 6. 

Come abbiamo già visto con Rodney, la classe dei comprador non ha interesse nel costruire una economia nazionale, ma al contrario spinge nel mantenerla dipendente al paese colonialista, il quale ha tutti gli interessi nel ritrovarsi senza pericolosi competitori. Ed è per questo che tutto ciò che contribuisce all’indipendenza politica ed economica del paese in fase di decolonizzazione non solo è positivo tatticamente ma lo è anche a lungo termine, in quanto pone le fondamenta della successiva fase di transizione, entro la quale agiscono i comunisti; con buona pace di “super rivoluzionari” e puristi vari che pretendono di sciogliere le contraddizioni di reali movimenti storici tramite qualche tratto di penna che grida sdegnata al tradimento. Detto questo, ricordandoci delle parole di Gramsci, ma anche più in generale della prassi dei paesi che hanno ottenuto e difeso l’indipendenza: la classe operaia riunita in partito nemmeno per un istante deve lasciare la guida politica ed economica. Nel momento in cui il proletariato non ha egemonia, ad averla deve necessariamente essere o la classe compradora alleata dell’imperialismo o una instabile amalgama di elementi nazionali e complici dell’imperialismo. La storia che ci proponiamo di raccontare è il passaggio dal secondo caso al primo. 

Alla luce di ciò non è difficile immaginare quali saranno le vittime principali dell’imminente colpo di stato. È però importante indagare il perché l’Indonesia, un paese che nonostante le dimensioni molti non saprebbero nemmeno individuare su una mappa, sia stato oggetto delle attenzioni di diversi governi imperialisti. L’interesse nei confronti del grande paese è candidamente spiegato nel 1953 da niente di meno che Eisenhower, Presidente americano eletto qualche mese prima. Rivolgendosi ai governatori di Washington per giustificare il finanziamento della guerra di Indocina francese, dice: 

Quindi, quando gli Stati Uniti votano 400 milioni di dollari per aiutare quella guerra, non stiamo votando per un programma di omaggi. Stiamo votando per il modo più economico possibile per prevenire il verificarsi di qualcosa che sarebbe del significato più terribile per gli Stati Uniti d’America: la nostra sicurezza, il nostro potere e la capacità di ottenere determinate cose di cui abbiamo bisogno dalle ricchezze del Territorio indonesiano e dal sud-est asiatico 7

La posizione strategica in funzione antisovietica e anticinese, le materie prime e la manodopera a basso costo erano, riprendendo le parole di Sukarno, un bottino a cui gli imperialisti non avrebbero rinunciato facilmente. Nell’autunno del 1956 Frank Wisner, uno dei fondatori della CIA, disse al capo della divisione della CIA per l’estremo Oriente «Penso che sia arrivato il momento di stare col fiato sul collo a Sukarno» 8. E ancora, l’allora vicepresidente Nixon riteneva che «la soluzione migliore per l’Indonesia forse non era un governo democratico, perché i comunisti probabilmente sono troppo ben organizzati per poter essere sconfitti alle elezioni» 9. Visto che la stragrande maggioranza della popolazione era in supporto di Sukarno, o ancor peggio dei comunisti, gli imperialisti americani avevano complici solamente da una parte: «Il grande corpo dell’esercito e della polizia nazionale è fermamente anticomunista e orientato verso gli Stati Uniti, e guarda agli Stati Uniti e ad altre fonti occidentali per rifornimenti e materiale» 10. Roger Hilsman, assistente del Segretario di Stato degli Stati Uniti per gli affari dell’Asia Orientale nota che 

un terzo dei generali indonesiani e quasi metà del corpo ufficiali ha avuto una qualche forma di addestramento da parte degli americani. Come risultato sia del programma di azione civica e del programma di addestramento, l’esercito americano e indonesiano sono venuti a conoscersi piuttosto bene. Legami di rispetto personale e perfino affezione esistevano 11

Il primo tentativo di rovesciamento del governo di Sukarno da parte dei militari si ebbe alla fine degli anni ‘50. Disubbidendo agli ordini di Eisenhower, la CIA partecipò militarmente al conflitto, bombardando obiettivi civili e militari pro-Sukarno. Durante le incursioni, il pilota della CIA Allen Pope fu catturato, sancendo la prova dell’effettivo coinvolgimento statunitense 12. Nonostante il diretto intervento delle forze USA, il colpo di stato fallì. Questo non fece che creare una spaccatura ancor più irriconciliabile nella società indonesiana, che da un lato nutriva un crescente sentimento antiamericano, dall’altro radicalizzò ancora di più i militari, noti anche come i “figli di Eisenhower” 13

Il successivo tentativo di colpo di stato ricevette ancora una volta totale appoggio e complicità da parte del governo statunitense. ma stavolta il suo successo fu fatale. Perfino Human Rights Watch, tendenzialmente piuttosto incline a chiudere un occhio se i perpetratori delle violazioni dei diritti umani sono americani, riferendosi ai materiali declassificati a decenni di distanza da quei fatti dice piuttosto francamente che «Questi documenti appena rilasciati chiariscono che i funzionari statunitensi avevano una conoscenza dettagliata delle uccisioni di massa in Indonesia nel 1965-66» – come afferma Phelim Kine, vicedirettore per l’Asia – «Il governo degli Stati Uniti ora deve rilasciare i documenti rimanenti, non solo per la documentazione storica di una delle peggiori atrocità del 20° secolo, ma come passo atteso da tempo verso il risarcimento delle vittime» 14. Il 5 ottobre 1965, l’ambasciatore Howard Green, nel telegramma spedito al Dipartimento di Stato, diceva: 

Le seguenti linee guida potrebbero fornire una parziale indicazione in merito all’atteggiamento che dovremmo prendere: 

  1. Evitare un esplicito coinvolgimento nello sviluppo della lotta di potere. 
  2. In segreto, tuttavia, indicare chiaramente alle persone chiave nell’esercito, come Nasution e Suharto, il nostro desiderio di fornire assistenza dove possiamo; nello stesso tempo trasmettere loro il nostro presupposto di evitare assolutamente che appaiano nostri coinvolgimenti o interferenze. 
  3. Mantenere e se possibile allargare il nostro contatto con i militari. 
  4. Evitare mosse che potrebbero essere interpretate come segni di mancanza di fiducia nell’esercito (come trasferire precipitosamente i nostri dipendenti o tagliare il personale). 
  5. Diffondere la storia della responsabilità, del tradimento e della violenza del Pki (questo sforzo prioritario è forse l’assistenza immediata più necessaria che possiamo fornire all’esercito se possiamo trovare il modo di farlo senza che la cosa sia identificata come una mossa unicamente o principalmente americana) 15. 

Lo stesso giorno un telegramma più diretto diceva: «Se si muove in fretta, ora l’esercito ha l’opportunità di agire contro il Partito comunista. Ora o mai più» 16

Quando il generale Suharto prese il controllo dei mezzi di comunicazione, iniziò a propagandare crimini inventati commessi dal PKI per giustificare una azione militare mirata a riportare ordine. L’accusa era che il PKI, armato dalla Cina comunista, avesse tentato un colpo di stato uccidendo nei modi più crudeli innocenti cittadini. Da lì si aprì una repressione militare che viene comunemente definita come il massacro politico più sanguinoso dopo l’Olocausto. A seguire una carrellata di testimonianze che fanno accapponare la pelle per la violenza descritta.  

Secondo resoconti portati fuori dall’Indonesia da diplomatici occidentali e viaggiatori indipendenti, i comunisti, i simpatizzanti rossi e le loro famiglie vengono massacrati a migliaia. Si dice che le unità dell’esercito dell’entroterra abbiano giustiziato migliaia di comunisti dopo essere stati interrogati in remote carceri rurali. I musulmani, la cui influenza politica era diminuita man mano che i comunisti guadagnavano il favore di Sukarno, avevano iniziato una “guerra santa” a Giava orientale contro i rossi indonesiani anche prima del fallito colpo di stato di settembre. Armati di coltelli a lama larga chiamati parang, bande musulmane si insinuavano di notte nelle case dei comunisti, uccidendo intere famiglie e seppellendo i corpi in fosse poco profonde […] Le uccisioni sono state di tale portata che lo smaltimento dei cadaveri ha creato un serio problema igienico-sanitario a East Java e nel nord di Sumatra, dove l’aria umida puzza di carne in decomposizione. I viaggiatori di quelle zone raccontano di piccoli fiumi e torrenti che sono stati letteralmente intasati di corpi; il trasporto fluviale è stato in alcuni punti ostacolato 17

Sumiyati, l’esponente di Gerwani che da ragazza abitava vicino a Sakono, sfuggì alla polizia per due mesi prima di costituirsi. Le fecero bere l’urina dei suoi aguzzini. Ad altre donne tagliarono i seni o mutilarono i genitali; gli stupri e la schiavizzazione sessuale erano diffusi ovunque 18

Pipit Rochijat, laureato in ingegneria elettrica, ha fornito un resoconto degli omicidi a Kediri, nell’East Java, in un pezzo intitolato “Sono PKI o non PKI?” 19. Al momento degli omicidi Rochijat era uno studente. Ha assistito agli omicidi, a cui hanno partecipato i suoi amici. Ricorda che le truppe di gruppi giovanili nazionalisti e religiosi, comprese le reclute dei collegi islamici, avrebbero circondato un villaggio sospettato di essere comunista come Pare a East Java. Il giorno successivo vedeva cadaveri, a volte mutilati, galleggiare lungo il fiume Brantas spesso legati o impalati con bastoncini di bambù in modo che galleggiassero e fossero visibili agli altri. Ricorda anche che la strada a ovest di Kediri era decorata con teste PKI e genitali maschili appesi fuori dai bordelli. Ricorda di aver visto le persone morire e implorare pietà, l’immagine delle teste decapitate, le urla di una donna Gerwani mentre la sua vagina veniva trafitta da un palo di bambù. Come membro di un gruppo giovanile PKI è stato anche preso di mira per l’arresto in una successiva ondata di arresti diretti dall’esercito 20

Quasi 100 comunisti, o sospetti comunisti, furono ammassati nell’orto botanico della città e falciati con una mitragliatrice… la testa che era appartenuta al preside della scuola, un Membro del PKI (Partito Comunista), è stato infilato su un palo e sfilato tra i suoi ex allievi, convocati in assemblea speciale 21.

Anche se è impossibile raccogliere le testimonianze di ogni singola vittima, pensiamo di aver dato un’idea della violenza fanatica di quei mesi. Robert J. Martens, che lavorando all’ambasciata americana in Indonesia ha fornito la lista dei bersagli da eliminare all’esercito indonesiano, a distanza di decenni commentava l’evento in questi termini: «Probabilmente hanno ucciso molte persone, e probabilmente ho molto sangue sulle mie mani, ma non è poi così male. C’è un momento in cui devi colpire duramente in un momento decisivo» 22. Se ciò non fosse sufficiente, il professore di Storia della Università della California Geoffrey B. Robinson, in modo convincente, ha dimostrato la collusione di diversi stati al massacro: 

Gli Stati Uniti e altri stati occidentali hanno fermamente negato ogni responsabilità per la terribile violenza che seguì al presunto colpo di stato del 1° ottobre 1965. Quella violenza, hanno affermato, era il prodotto di forze politiche interne su cui i poteri esterni avevano poca o nulla influenza. Tale affermazione non è vera. Ora ci sono prove evidenti che nei sei mesi cruciali successivi al presunto colpo di stato, le potenze occidentali hanno incoraggiato l’esercito a muoversi con forza contro la sinistra, facilitato la violenza diffusa, comprese le uccisioni di massa, e contribuito a consolidare il potere politico dell’esercito. Hanno contribuito a determinare la distruzione politica e fisica del PKI e dei suoi affiliati, la rimozione di Sukarno e dei suoi più stretti collaboratori dal potere politico, la loro sostituzione con un’élite dell’esercito guidata dal generale Suharto e uno spostamento sismico nella politica estera dell’Indonesia verso l’Occidente e il modello capitalista che ha avanzato 23

Vale la pena ricordare anche come un governo quale quello della Germania Ovest, all’epoca ancora pullulante di nazisti, non si fece nemmeno allora da parte nella crociata contro il comunismo. Dopotutto, nel secondo dopoguerra la fama di assassini di comunisti ha riservato ai nazisti le più rilevanti posizioni di riguardo nel mondo capitalista occidentale 24. Altro agente allora coinvolto, seppur in maniera minore, fu il governo israeliano 25, il quale giustamente ostracizzato dal movimento non allineato guidato non solo dall’Indonesia ma anche da altri paesi a maggioranza araba, aveva tutti gli interessi nel sostenere un nuovo e più amichevole governo. A questo proposito, in maniera simile al più noto colpo di stato in Cile nel ’73, ad una dittatura militare si affiancava un esercito di tecnocrati completamente innamorati di privatizzazioni e tagli ai servizi sociali, conosciuti come Mafia di Berkeley, nome dell’università della California nella quale si erano formati. La somiglianza con il Cile diviene ancora più chiara quando si scopre che gli studi della “Mafia di Berkeley” erano sovvenzionati dalla Fondazione Ford 26, manovrata dalla CIA in chiave anticomunista 27 28, proprio come lo furono i Chicago Boys 29. Le similitudini con il Cile continuano se si analizzano le politiche economiche che, messe in pratica con la minaccia delle armi, ebbero risultati terrificanti per le classi subalterne. Infatti, nel 1974, a distanza di quasi un decennio dal colpo di stato fascista a economia neoliberale, ci fu una rivolta proprio tra le università finanziate dalla Fondazione Ford 30, le quali avevano lavorato mano nella mano con i militari per sovvertire il governo 31. Lo stesso Suharto ascoltava le lezioni registrate di queste università prendendo appunti 32. Ecco spiegata la convivenza tra il governo militare e gli economisti della “Mafia di Berkeley”. Non c’è dunque motivo di stupirsi apprendendo che il nuovo regime varò leggi che permettevano alle industrie straniere di possedere nella loro interezza i giacimenti minerari e petroliferi indonesiani, con tanto di temporanee sospensioni di tasse 33. Ben 140 aggiustamenti del FMI dopo 34, tra distruzione ambientale e il conseguente conflitto sociale tra le numerose comunità nazionali, la situazione è tutt’ora tragica. L’Oxfam riporta che l’Indonesia è attualmente il sesto paese al mondo con la maggiore disuguaglianza tra ricchi e poveri, il che significa che i 4 uomini più ricchi hanno più ricchezza che i 100 milioni di più poveri messi insieme. I più poveri, le donne in maniera particolare, sono vittime di insicurezza sul lavoro e salari da fame. L’accesso alle infrastrutture è diseguale tra aree rurali e urbane, le terre sono per la stragrande maggioranza proprietà di aziende straniere che si appropriano di tutti i benefici. Il sistema educativo è fortemente portato alla ghettizzazione, portando i figli di lavoratori nell’impossibilità si accedere a lavori più qualificati e meglio retribuiti 35

In modo poco sorprendente per noi comunisti, ma forse (e speriamo) oltraggioso per chi ancora crede al mito della libera informazione in Occidente, anche i principali giornali uniformemente si unirono alla propaganda di Suharto che, secondo testimonianze raccolte da Vincent Bevins, tra i maggiori studiosi degli eventi, hanno terribilmente contribuito al disastro: dopotutto non erano solo i generali a parlare dei fantomatici crimini del PKI, ma anche prestigiosi emittenti come Voice of America, Bbc e Radio Australia.  

Un articolo del 19 giugno 1966 del New York Times, intitolato Un bagliore di luce in Asia 36, rattristato dalla eroica resistenza del popolo vietnamita, trova conforto, la luce, negli eventi di Indonesia: si può parlare infatti di «sviluppi politici più promettenti altrove in Asia», che finalmente si era purificata col sangue dei comunisti del PKI dalla politica “filo-cinese”. L’autore esulta: «il controllo di questo vasto e strategico arcipelago non è più nelle mani di uomini ferocemente ostili agli Stati Uniti»; e non ci fa mancare nemmeno un po’ di orgoglio americano dopotutto: «È dubbio che il colpo di stato sarebbe mai stato tentato senza la dimostrazione di forza americana in Vietnam» e ovviamente «senza l’aiuto clandestino che ha ricevuto indirettamente da qui»37. Il Primo ministro australiano Harold Holt, anche lui corresponsabile, nel ’66 commenterà sarcasticamente che «Con tra i 500.000 e il milione di simpatizzanti comunisti eliminati, penso che sia lecito ritenere che sia avvenuto un riorientamento»38. L’illustre politico sembra non essere in grado – o meglio, non essere interessato – a concepire quel milione di “simpatizzanti“ come esseri umani. 

L’anno successivo, il documentario della NBC, sobriamente intitolato “Indonesia: la vittoria travagliata”39, avrà il compito di spiegare al suo numeroso pubblico cosa sia successo nel grande paese asiatico. Oltre a ripetere in buona parte la propaganda dei generali indonesiani, si lascia sfuggire delle informazioni di grande interesse, in grado di spiegare come il genocidio fosse in linea con la politica e il pensiero liberale. La voce narrante ci informa che: 

Per quanto brutte siano le cose in Indonesia, un fatto positivo è noto. L’Indonesia ha una favolosa ricchezza potenziale in risorse naturali e il Nuovo Ordine la vuole sfruttare. Così stanno restituendo le proprietà private espropriate dal regime di Sukarno. L’impero della gomma di Sumatra di Goodyear ne è un esempio. Fu sequestrato come rappresaglia per l’aggressione degli Stati Uniti in Vietnam nel 1965. Il sindacato dei lavoratori della gomma era gestito dai comunisti; quindi, dopo il colpo di stato molti di loro furono uccisi o imprigionati. Alcuni dei sopravvissuti, li vedete qui, lavorano ancora con la gomma, ma questa volta come prigionieri e sotto la minaccia delle armi. 

Sembra ridondante specificare che il “Nuovo Ordine” è una sanguinaria dittatura militare e che il “sequestro” compiuto pochi anni prima si potrebbe meglio descrivere come la socializzazione dei mezzi di produzione da parte dei lavoratori; ma ciò è evidentemente di gran lunga peggiore rispetto al male necessario di lavorare con “la minaccia delle armi” per i mezzi di informazione liberali, che valutano gli interessi del capitale al di sopra della vita umana. Continuando il narratore ci informa che: «Il Nuovo Ordine rivuole Goodyear. Loro, come dozzine di altri capitalisti stranieri, sono ansiosi di tornare perché la ricchezza è lì – non solo gomma, ma petrolio, stagno, legname, spezie, quasi tutto». Le condizioni di lavoro inumane nelle compagnie americane che sono state riprese con le armi dalla gestione dei lavoratori, vengono riportate anche da Alex Campbell, caporedattore di New Republic, che ci offre una chiara idea della situazione: «Il governo prevede di inviare circa 60.000 [prigionieri politici] ai lavori forzati nelle piantagioni di gomma nel Borneo. Forse 10.000 sono già andati lì. Si dice che stiano morendo come mosche. Nel frattempo, coloro che sono ancora nei campi potrebbero lentamente morire di fame»40

Un detto africano molto diffuso nel nostro Paese dice: “Quando ti brucia la casa, è inutile battere i tam tam”. A livello tricontinentale, ciò significa che non elimineremo l’imperialismo gridandogli insulti. Per noi, il grido migliore o peggiore contro l’imperialismo, qualunque sia la sua forma, è prendere le armi e combattere. Questo è ciò che stiamo facendo, ed è ciò che continueremo a fare fino a quando ogni dominio straniero sulle nostre terre africane non sarà completamente eliminato41

Seguendo le parole di Cabral, nonostante non si possa rimanere indifferenti dinnanzi a questa enorme tragedia, dobbiamo apprendere una importante lezione dalla totale sconfitta delle forze progressiste indonesiane, in modo tale da poter combattere l’imperialismo con maggiore efficacia e quindi evitare che altro sangue innocente venga versato. A questo proposito è necessario imparare dagli errori. Già nel maggio 1965 la CIA poteva osservare che il PKI aveva: «un potenziale limitato per un’insurrezione armata e con ogni probabilità non aveva intenzione di mettersi apertamente in contrapposizione con l’esercito42]

Negli stessi giorni in cui un malore colpì Sukarno, nell’agosto 1965, a distanza di circa due mesi dal colpo di stato, il leader del Partito Comunista Indonesiano Aidit, a Pechino, ebbe modo di parlare con Mao. Abbiamo una parziale trascrizione del loro colloquio: 

Mao. Penso che la destra in Indonesia sia determinata a prendere il potere. Sei determinato anche tu?  

Aidit. [annuendo] Se Sukarno muore, sarà questione di chi prenderà il sopravvento.  

Mao. Ti consiglio di non andare all’estero così spesso. Manda all’estero il tuo vice al posto tuo.  

Aidit. A proposito della destra, loro potrebbero agire in due modi. Primo, potrebbero attaccarci. Se lo fanno, avremmo un motivo per contrattaccare. Secondo, potrebbero adottare un metodo più moderato e costruire un movimento Nasakom […] Gli americani hanno detto a Nasution di aver pazienza e aspettare; anche se Sukarno morisse, [il capo delle forze armate Nasution] dovrebbe mostrarsi accomodante invece di iniziare un colpo di Stato. Lui ha accettato i consigli degli americani. 

Mao. Non ci si può fidare. La situazione attuale è cambiata43

Ancora una volta è propedeutico ritornare sulle parole di Sukarno: i colonialisti non lasciano il loro bottino facilmente. È quindi imperativo che le forze progressiste si organizzino in maniera tale da difendersi e resistere indipendentemente dalle istituzioni oggettivamente legate alle forze imperialiste. In questo caso l’esercito, che, come abbiamo detto, aveva stretto contatti con il governo Usa. A distanza di pochi mesi, nel 1966, a Cuba nacque la Conferenza Tricontinentale dove, disillusi da ogni fantasia idealista, si ribadiva la primarietà della lotta armata per raggiungere la liberazione nazionale. Dal Congo, ove proseguiva la lotta per l’emancipazione del popolo dalle forze straniere, Guevara fece trasmettere un chiaro messaggio alla Conferenza: «Per quanto riguarda il nostro grande obiettivo strategico, la distruzione totale dell’imperialismo mediante la lotta armata, dovremmo essere intransigenti»44

La storia della lotta all’imperialismo ha molte pagine gloriose, ma anche molte tragiche. L’Indonesia è sicuramente fra queste. Noi comunisti dovremmo perciò sempre ricordare che a difendere il popolo non possa che essere la sua parte più organizzata e più cosciente, il partito comunista. Nella misura in cui il partito non ha totale egemonia sui militari, deve essere consapevole che, come abbiamo visto, essendo il substrato sociale borghese più facile da comprare e corrompere, l’esercito può diventare il protagonista un colpo di stato reazionario tramite il supporto economico e bellico straniero. Per evitare ciò, il partito deve utilizzare le armi della critica, per costruire un esercito ideologizzato e fedele agli interessi della classe operaia e dello stato indipendente, e la critica delle armi, vale a dire i mezzi materiali con cui difendersi. Come sempre, maestra è la Cina: il fronte unito antimperialista con il Kuomintang non ha certo fermato le capacità dell’Esercito di Liberazione Popolare di mantenere la sua indipendenza e la sua forza, forza che i reazionari cinesi e i lacchè dell’imperialismo, a causa del loro tradimento del fronte unito, avrebbero conosciuto bene durante la vittoriosa guerra civile. 

Non è certo nostra intenzione sminuire il PKI e criticarlo da una torre d’avorio: siamo infatti fiduciosi che il popolo indonesiano, nonostante ancora oggi l’ideologia comunista venga repressa, rispolveri la storia gloriosa del suo partito e che, armata di nuova teoria e prassi rivoluzionaria, possa avere la sua rivincita. È infatti vero che, nonostante la decisiva vittoria della reazione, la quale negli anni successivi, oltre alla miseria ai lavoratori indonesiani, ha portato ulteriore morte nel vicino paese di Timor Est, non si potranno mai sopprimere in eterno le giuste aspirazioni del popolo. E «I feroci reazionari indonesiani alla fine saranno messi di fronte al severo giudizio della storia»45


Note 

1. https://www.cvce.eu/obj/discours_d_ouverture_de_sukarno_bandung_18_avril_1955-fr-88d3f71c-c9f9-415a-b397-b27b8581a4f5.html 

2. Ivi 

3. https://abahlali.org/files/3295358-walter-rodney.pdf 

4. https://www.marxists.org/reference/archive/stalin/works/1952/10/14.htm 

5. https://www.marxists.org/reference/archive/mao/selected-works/volume-3/mswv3_25.htm 

6. https://www.associazionestalin.it/gramsci_PCUS_1.html#1 

7. https://www.presidency.ucsb.edu/documents/remarks-the-governors-conference-seattle-washington 

8. Joseph Burkholder Smith, Portrait of a Cold Warrior, G. P. Putnam, New York 1976, p. 205. 

9. Editorial Note, NSC Meeting on April 5, 1956, in Frus, 1955-1957, vol. XXII, p. 254, citato in Simpson, Economists with Guns cit., p. 32. 

10. https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1955-57v22/d95 

11. Roger Hilsman, To Move a Nation, New York, Doubleday & Company 1967, p 377 

12. https://www.theatlantic.com/international/archive/2017/10/the-indonesia-documents-and-the-us-agenda/543534/ 

13. Tim Weiner, Legacy of Ashes: The History of the CIA, New York: Anchor Books, 2007 

14. https://www.hrw.org/news/2017/10/18/indonesia-us-documents-released-1965-66-massacres 

15. https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1964-68v26/d147  

16. Ivi 

17. https://content.time.com/time/subscriber/article/0,33009,834780,00.html 

18. Wieringa, Propaganda cit., p. 132; citato in Metodo Giacarta, Vincent Bevins, Giulio Eiunaudi Editore, Torino, 2021 

19. https://www.jstor.org/stable/3350874 

20. https://www.sciencespo.fr/mass-violence-war-massacre-resistance/fr/document/indonesian-killings-1965-1966.html 

21. https://www.nytimes.com/1966/05/08/archives/the-great-purge-in-indonesia-the-great-purge-in-indonesia.html 

22. https://www.washingtonpost.com/archive/politics/1990/05/21/us-officials-lists-aided-indonesian-bloodbath-in-60s/ff6d37c3-8eed-486f-908c-3eeafc19aab2/ 

23. Jeoffrey B. Robinson, The Killing Season: A History of the Indonesian Massacres, 1965-66,  

24. https://redfish.media/blog/indonesias-1965-genocide-germanys-unknown-war-against-communism/ 

25. https://www.972mag.com/israel-whitewash-indonesia-anti-communist-massacres/ 

26. https://web.archive.org/web/20070125064125/http://www.fordfound.org/elibrary/documents/5002/057.cfm#5002-div2-d0e2149  

27. https://www.nybooks.com/articles/1967/04/20/the-cia-and-the-intellectuals/?pagination=false 

28. https://web.archive.org/web/20070613110501/https://www.cia.gov/library/center-for-the-study-of-intelligence/csi-publications/csi-studies/studies/vol46no1/article08.html 

29. https://ilmanifesto.it/la-dittatura-dei-chicago-boys 

30. Naomi Klein, The Shock Doctrine, Metropolitan Books, 2007, pp122 .

31. David Ransom, “Ford Country: Building an Elite for Indonesia,” The Trojan Horse: A Radical Look at Foreign Aid, ed. Steve Weissman (Palo Alto, CA: Ramparts Press, 1975) .

32. Goenawan Mohamad, Celebrating Indonesia: Fifty Years with the Ford Foundation 1953–2003 (Jakarta: Ford Foundation, 2003), 59 

33. Naomi Klein, The Shock Doctrine, Metropolitan Books, 2007, pp. 69 

34. https://www.nytimes.com/2000/10/21/business/imf-s-hand-often-heavy-a-study-says.html 

35. https://www.oxfam.org/en/inequality-indonesia-millions-kept-poverty 

36. https://www.nytimes.com/1966/06/19/archives/washington-a-gleam-of-light-in-asia.html 

37. https://www.newyorker.com/culture/culture-desk/the-weird-genius-of-the-act-of-killing 

38. https://www.insideindonesia.org/editions/edition-7136/witness-denied 

39. Indonesia: The Troubled Victory (1967) 

40. Alex Campbell, citato in https://www.workers.org/indonesia/chap4.html 

41. https://www.marxists.org/subject/africa/cabral/1966/weapon-theory.htm 

42. Bradley R. Simpson, Economists With Guns: Authoritarian Development and U.S.-Indonesian Relations, 1960-1968, Stanford University Press 

Stanford, California.  

43. China and the Thirtieth of September Movement, Taomo Zhou https://ecommons.cornell.edu/bitstream/handle/1813/54657/INDO_98_0_1415733938_29_58.pdf?sequence=1 

44. https://www.marxists.org/archive/guevara/1967/04/16.htm 

45. Chen Yi, citato in Migration in the Time of Revolution: China, Indonesia, and the Cold War, Cornell University, 2019, pp 189.