Il petrolio del nuovo millennio

A cura del Dipartimento Ambiente Nazionale FGCI

L’acqua è da sempre una delle risorse fondamentali dell’essere umano, ma negli ultimi decenni a seguito dell’intensificazione di diverse pressioni antropiche è stato stimato all’interno del World Water Development report pubblicato dalle Nazioni Unite, che circa 6 miliardi di persone entro il 2050 possano soffrire di insicurezza idrica. Per quanto riguarda l’Italia secondo i dati dell’Ispra in Italia ogni anno si consumano oltre 26 miliardi di metri cubi di acqua: il 55% circa della domanda proviene dal settore agricolo, il 27% da quello industriale e il 18% da quello civile. Ma tenendo in considerazione che vi è una perdita effettiva del 22% sul totale, il consumo effettivo di acqua è di 33 miliardi di metri cubi; ma la situazione risulta particolarmente critica se si osservano i dati del Water Footprint Network che stima l’impronta idrica del Bel Paese a circa 130 miliardi di metri cubi all’anno, una delle più alte in Europa.

Oltre all’impatto diretto riguardante il consumo vi è da aggiungere la problematica dell’inquinamento delle falde acquifere e delle acque superficiali che diminuisce ulteriormente la disponibilità idrica. Secondo i dati Ispra provenienti dall’Atlante dei dati ambientali, lo stato chimico per le acque superficiali è considerato buono per il 75% dei corpi idrici monitorati, mentre per le acque sotterranee è il 57,6%; tenendo in considerazione però che per quanto riguarda l’impatto dell’uso dei pesticidi i dati di monitoraggio evidenziano la presenza di miscele nelle acque a cui gli organismi acquatici e l’uomo sono esposti attraverso l’ambiente. Nei campioni di acque superficiali sono state trovate almeno due sostanze nel 43% dei casi, con un massimo di 31 sostanze diverse in un solo campione, inoltre solamente il 42,6% delle acque superficiali è stato classificato come in buono stato ecologico.

Anche se i dati del registro europeo degli inquinanti E-Prtr (European Pollutant Release and Transfer Register) raccolte da Legambiente delineano che circa il 60% delle acque di fiumi e laghi non è in buono stato e calcola che dal 2007 al 2017 gli impianti industriali abbiano immesso, secondo le dichiarazioni fornite dalle stesse aziende, 5.622 tonnellate di sostanze chimiche nei corpi idrici. Tutto ciò considerando le normative vigenti di standard di qualità ambientale (SQA) stabiliti dalla Direttiva 2013/39/UE e le direttive del Decreto Legislativo 152/2006. Ciò non è casuale e sono innumerevoli i ricorsi e i processi in giudizio riguardo sversamenti illegali da parte di aziende, multinazionali ed ecomafie all’interno dei corsi d’acqua, che per massimizzare i profitti e ridurre le esternalità finiscono per impattare il benessere ambientale e la salute dei cittadini.

Casi studio sono gli sversamenti abusivi nel fiume Sarno causati prevalentemente dalla filiera agro alimentare  e  conciaria oppure gli innumerevoli sversamenti di idrocarburi avvenuti nel Po e nei suoi affluenti nella quale  stata rilevata una concentrazione di Pfas (Sostanze perfluoro alchiliche) cento volte superiori alla norma oppure lo scandalo degli sversamenti incontrollati (e concessi dai vari Ministeri dell’ Ambiente) della azienda belga Solvay nelle acque di Rosignano Solvay; il tutto raramente punito o risarcito dai fautori che nella maggior parte dei casi se la cavano con una tirata di orecchie.

Il cambiamento climatico inoltre metterà a dura prova la penisola, dove con un aumento della temperatura fino a 2°C nel periodo 2021-2050, si registrerà una diminuzione delle precipitazioni estive del Centro e del Sud e un incremento di eventi legati a precipitazioni intense al Nord. Secondo i dati pubblicati nel 2020 dalla Fondazione Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) Per le aree urbane, ad eccezione  di alcune zone del Veneto e della Toscana e delle zone alpine, la riduzione delle precipitazioni determinerà situazioni di siccità e scarsità idrica più frequenti. “L’Italia meridionale subirà in modo particolare una riduzione delle prestazioni dei bacini idrici. Si è visto come la maggior causa dell’insufficienza dei sistemi in Sud Italia sia legata alla riduzione delle precipitazioni disponibili piuttosto che alla capacità del serbatoio, problema principale invece per i sistemi analizzati in Centro Italia”, si legge nel Rapporto. In un recente intervento al Green & Blue summit, Paola Mercogliano, ricercatrice della Fondazione Cmcc, ha mostrato come l’impatto del clima cambierà la vita delle città italiane: Napoli, Bologna, Milano e Roma fanno registrare un trend di crescita del numero di giorni molto caldi. In alcune zone d’Italia, è in corso un aumento dei massimi di precipitazione, nel periodo da novembre a marzo. Le città che non adottano misure per salvaguardare la propria fornitura d’acqua potrebbero avere importanti ripercussioni.

Recentemente l’oro blu come viene chiamato dalle maggiori testate giornalistiche è diventato un importante asset finanziario per gli ultra ricchi che stanno cominciando ad investire nelle risorse idriche in una mole mai vista finora, generando nell’immaginazione collettiva uno scenario raccapricciante dove dei cosiddetti “Baroni dell’Acqua” determinano la distribuzione di una delle risorse fondamentali, ricalcando in maniera quasi parodistica la distopia post apocalittica di Mad Max. Non è fantascienza purtroppo, è un fenomeno che è già accaduto (come per esempio la monopolizzazione di alcune fonti idriche da parte del colosso Nestlè) e rischierà di accadere, con a stessa Goldman Sachs che nel 2008 ha denominato l’acqua “il petrolio del 21esimo secolo”. La lotta per l’acqua come risorsa collettiva e bene comune è più importante che mai, ed è necessario in un framework di lotta di classe riconoscere le ineguaglianze strutturali che hanno permesso di mercificare una risorsa fondamentale alla vita umana e per la salute degli ecosistemi e considerata una risorsa imprescindibile per la maggior parte della nostra storia.