Giuseppe Valditara, ministro dell'Istruzione (LaPresse)

Scuola e lavoro ai tempi di Valditara

Il 7 dicembre 2023, il ministro dell’Istruzione e del merito Valditara ha emanato un decreto per riformare gli istituti superiori del settore tecnico-professionale. Si intende sperimentare percorsi formativi quadriennali anziché quinquennali, rendendo possibile l’iscrizione agli ITS (percorsi di formazione professionale post diploma) previa certificazione delle competenze da parte di INVALSI. L’ambizioso progetto mira a creare una “filiera formativa tecnologico – professionale” coinvolgendo diverse istituzioni in reti chiamate “campus”, attive nei vari territori del Paese. L’offerta formativa aumenterà le ore di laboratorio e di alternanza scuola lavoro, così come gli scambi internazionali. La parola-chiave è flessibilità: didattica e organizzativa. Docenti esterni, provenienti dalle imprese e dalle professioni, affiancheranno i docenti interni, partecipando e modificando, dove necessario, programmi e il monte ore di studio.

Fin qui, la retorica trionfalistica del governo e dei media asserviti. Ma cosa comporta questo decreto nella pratica? Il primo punto da considerare riguarda la durata del percorso professionale, ridotto senza ragione alcuna se non quella di consentire un ingresso quanto più precoce possibile nel mondo del lavoro. Si sottrae un anno di formazione agli studenti, già negli ultimi anni penalizzati da percorsi formativi sempre più dispersivi e superficiali, consentendo loro di accedere agli ITS senza superare l’esame di Stato. Il ruolo sempre più significativo attribuito all’agenzia INVALSI è sintomatico di un orientamento (di respiro nazionale e internazionale) che abitua lo studente a un sistema competitivo e omologante, basato su punteggi e nozioni che poco hanno a che fare con l’istruzione.

Vale la pena sottolineare che anche le università stanno seguendo la stessa tendenza. Un esempio sono i corsi STEM, dove si stanno diffondendo esami iper-specifici legati alle esigenze del mercato: machine learning, data analysis e statistica computazionale sono esami diffusi in molti corsi di informatica, biologia o ingegneria, che diventano obsoleti nel momento stesso in cui si studiano. Anche la qualità didattica è calata e non è difficile sentir affermare da ingegneri, biologi e chimici di non aver mai fatto laboratorio durante la triennale, rimandando la formazione pratica alla magistrale e a tirocini successivi.

D’altra parte, anche la figura dell’insegnante, il cui ruolo è stato sempre più sminuito nel corso degli anni, non viene certo salvaguardata da questo decreto. Non volendo più portare avanti una certa idea di scuola, il docente formatosi per stare dietro la cattedra è considerato inutile e dannoso ai fini che il governo si pone. Al contrario, l’assunzione di docenti provenienti da realtà aziendali è in linea con i principi di esternalizzazione e privatizzazione che si sono imposti in tutti i settori della nostra società.

Come FGCI abbiamo già denunciato i problemi della “scuola-azienda”, descrivendo il processo che dagli anni ’90 ha visto intromettersi gradualmente i privati nei processi di organizzazione e gestione del mondo della scuola. Da un lato, la scuola si trasforma in un’azienda, gestita con criteri e finalità di mercato, di riduzione dei costi ed “efficienza” (cioè, fuori dalla retorica, di taglio del diritto allo studio). Dall’altro, si vuole una scuola sempre più integrata al sistema delle imprese, ossia un’istituzione capace, più che di formare, di “forgiare” nuove leve da inserire nel sistema produttivo, educandole al raggiungimento degli obiettivi (ossia gli interessi del capitale) in cambio di una realizzazione professionale che per la maggior parte di loro resta un miraggio.

In gran parte, la miseria delle riforme dell’istruzione nel nostro paese ha a che fare direttamente con la miseria di questo sistema, piuttosto malconcio, e delle classi dominanti del nostro paese, più che mai straccione. Dal punto di vista educativo, assistiamo all’incoraggiamento del lavoro non retribuito all’interno delle scuole: spacciato per momento formativo, è orientato all’ingresso dei giovani in un mondo del lavoro che ben conosciamo, fatto di stipendi da fame, supersfruttamento e precarietà. La tanto decantata flessibilità altro non è che l’incoraggiamento a un lavoro instabile e privo di diritti.

Un altro problema da non sottovalutare riguarda le disparità che un modello regionalista inevitabilmente acuirà. A seconda del grado di integrazione col sistema delle imprese, ci saranno territori con maggiori opportunità e altri, in particolare nel meridione, con possibilità di crescita pari a zero. Di conseguenza, crescerà la distanza (già esistente) tra scuole di serie A e scuole di serie B. Risorse che andrebbero destinate a ricerca e formazione, da intendersi come processo di sviluppo dello spirito critico e di crescita della persona, vengono al contrario destinate a soddisfare gli interessi dei grandi gruppi capitalistici. Questa è la scuola di Valditara, del resto in continuità con lo smantellamento della scuola pubblica che coerentemente governi di centrodestra e centrosinistra hanno perseguito negli ultimi decenni. La scuola del capitale produce un imbarbarimento delle coscienze e una regressione senza precedenti. Solo la lotta per il socialismo può offrire un’uscita di sicurezza.